Utilizzo delle foglie di banano per oggettistica e componenti edilizie

Conoscevamo il banano principalmente per l’utilizzo delle sue foglie come tetto delle capanne e per il suo frutto: la banana. Frutto tra i più consumati al mondo, insieme al caffè; tra i più calorici, per cui bandito da molte diete; tra i più simbolici per la forma fallica; tra i più profumati con il suo sentore di rosa; nonché per la leggenda metropolitana che attribuisce proprietà allucinogene alla sua buccia essiccata e successivamente fumata. Con gli studenti ho cercato di conoscere meglio la pianta, osservandola nelle sue parti. In primo luogo è necessario sapere che questa pianta, che assomiglia alla palma, in realtà è una pianta erbacea con uno stelo di diametro 10-25 cm e un’altezza che raggiunge i 12 m. Priva di consistenza legnosa, circondata da foglie fittamente avvolte ed inguainate una dentro l’altra. Lo stelo è così morbido che si può tagliare con un semplice coltello. Le sue fragili foglie sono larghe 30-60 cm e lunghe fino 3 m e hanno nervature centrali a
sezione variabile. Le banane sono raggruppate in caschi che arrivano a pesare fino a 60 kg. Ma come può uno “stelo d’erba” così morbido e carnoso sopportare tali carichi e misure?
La natura nella sua apparente semplicità si rileva incredibilmente complessa e ricca di segreti e misteri che traduce in efficienti materiali e incredibili performance. Le sovrapposizioni delle fibre, delle membrane, e della materia in genere, permettono di distribuire le forze ottenendo equilibri inscindibili. Questo è l’ideale di bellezza al quale dobbiamo ispirarci. Dall’osservazione di tale affascinante materiale ogni allievo è partito per elaborare un percorso di utilizzo che potesse andare al di là degli oggetti in foglie di banano intrecciate da abili artigiani e destinati alle bancarelle di molti mercati. I progetti sono il frutto di semplici esperimenti manuali e delle relative scoperte che vorrebbero essere l’inizio di un più approfondito lavoro di ricerca. In quest’occasione vorrei illustrarne tre. Il primo nasce dalla considerazione che una sola fibra di banano non ha capacità portante, ma prendendo un insieme di fibre, comprimendole e legandole insieme, e con l’aiuto della geometria, si ottengono strutture capaci di resistere a notevoli carichi con buoni rapporti di peso proprio e resistenza alla compressione. Il secondo ruota attorno al fatto che la nervatura centrale della foglia di banano con la sua particolare sezione è perfetta
per sopportare il peso della lamina fogliare e trasmetterla allo stelo. Ma da verde essa risulterebbe molto fragile, se invece la si essicca acquista resistenza e, tagliata a pezzi di ugual misura, accostate e posizionate le fibre nella giusta direzione, si ottiene l’anima di un tamburato che avrà valenze portanti oltre a capacità di isolamento termico ed acustico. Il terzo progetto è quello sviluppato dalla compressione di un groviglio di fibre di banano e dal loro successivo rilascio. Si constata che il “groviglio” conserva una sorta di “memoria” della propria forma originaria, a tal punto che dalle fibre di scarto si possono ottenere imbottiture di cuscini o sedute come avveniva con i materassi di paglia. Dallo sguardo dell’osservatore e dalla sua capacità di sperimentare manualmente nuovi procedimenti nasce un metodo di lavoro, che a mio modo di vedere, può portare verso conoscenze persino inaspettate. Quello che l’Università di San Marino ha permesso non è stato solo un progetto di ricerca, ma un supporto alla ricerca stessa, che attraverso informazioni culturali può fare tendenza e permette di sviluppare tecnologie sempre più creative.

designer Matteo Borghi
tutor Luca Morganti

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